Con il Crystal Eye nuove prospettive per l’osservazione dell’universo
Un innovativo rilevatore spaziale per raggi X e gamma, che potrebbe avere forte impatto sullo studio del cosmo e quindi sulla progettazione delle future missioni spaziali.
In altre parole - semplificate e certamente non esaustive - si può descrivere così il Crystal Eye (“occhio di cristallo”), strumento al centro di un’importante attività all’interno del work package 1 di Astra, quello dedicato allo sviluppo di nuove tecnologie hardware per lo spazio.
Il Crystal Eye è una semisfera altamente tecnologica, attraverso la quale ci si pone l’obiettivo di rilevare violenti lampi di raggi gamma, per comprendere a fondo cosa li genera. Dalle dimensioni simili a una palla da basket, è composta da cristalli, all’interno dei quali si creano piccoli flash luminosi nel momento in cui vengono intercettate radiazioni di raggi gamma. Il progetto ha avuto la sua genesi nel 2018 all’Università Federico II di Napoli, dove Felicia Barbato, oggi ricercatrice di tipo B al Gran Sasso Science Institute, ricevette un finanziamento pilota per l’idea.
Questo e altri progetti hanno proprio in quel periodo assunto una valenza inedita, a causa dell’emergere di quella che oggi è conosciuta come astronomia multimessenger, e che attraverso i noti esperimenti sulle onde gravitazionali hanno rappresentato una svolta nell’astrofisica: “Il Crystal Eye può essere rilevante proprio nell’ambito dell’approccio multimessenger. Infatti, si tenterà sempre più di osservare da punti di vista diversi verso lo stesso punto nel cielo, raccogliendo informazioni attraverso più messaggeri possibile. In questo modo cercheremo di ricostruire un fenomeno come quello dell’origine dei raggi gamma come fosse un puzzle”, afferma Barbato.
Il problema si pone nel momento in cui devono essere rilevati alcuni range di energia dei raggi gamma, poiché pochi satelliti oggi in attività sono in grado di rilevarli. Da qui l’idea di un occhio di cristallo: “Da un lato ci sono telescopi terrestri e spaziali che, seppur osservino in alta risoluzione l’universo, lo fanno verso angoli molto limitati. Il Crystal Eye, invece, pur fornendo un’immagine a bassa risoluzione, essendo una semisfera osserva su un campo di raggio molto più ampio. In modo da poter segnalare sorgenti di raggi gamma a strumenti che hanno risoluzioni d'immagine maggiori ma campi di osservazione ristretti”, afferma la ricercatrice italiana.
Oggi il team di Astra sta lavorando a un prototipo del Crystal Eye (composto da pochi pixel), che si punta a lanciare nello spazio nel 2026, a bordo dello Space Rider della European Space Agency (Esa). Se viaggio e rientro andranno a buon fine, si potranno recuperare i dati dell’esperimento e verificare eventuali danni allo strumento, sia da radiazioni che da impatto nel lancio e nel rientro.
Lavorare sul prototipo aiuta alla ricerca dal punto di vista tecnologico, in modo che si possano testare tecnologie che a terra sono già funzionanti ma devono ancora essere abilitate alle condizioni peculiari dello spazio privo di atmosfera: “Per esempio - racconta Barbato - se fino a oggi si è lavorato con detector più fragili e di dimensioni maggiori, sul Crystal Eye ci saranno i SiPM (Silicon Photomultiplier), simili ai sensori di parcheggio montati sulle auto, che nello spazio ancora non sono stati mai testati”.
Tutto questo rappresenterebbe un’opportunità enorme per gli investimenti futuri in termini di tecnologia per lo spazio, perché la debolezza dei sensori oggi in uso è legata al danno da radiazione, e la ricerca mira a comprendere come proteggerli una volta in orbita. Ridurre le dimensioni dei sensori e aumentarne la sicurezza in volo permette consumi di energia nettamente minori ed esperimenti più performanti. In altre parole, se riuscisse l’esperimento di Astra si potrebbe fare un salto di qualità importante.
La regione di energia che il progetto Astra vuole contribuire a indagare tramite lo sviluppo del Crystal Eye, insomma, è estremamente interessante da comprendere, perché ancora poco conosciuta dal punto di vista dei dati sperimentali. Per questo, nell’ambito di Astra, questa parte di progetto è stata finanziata con 4,1 milioni di euro, che verranno impiegati anche per l’allestimento dei laboratori.
I dati che potrebbe captare l’occhio di cristallo, uniti alla rilevazione degli altri strumenti deputati alla raccolta di informazioni sui raggi gamma, permetterà di studiare le sorgenti di questi potenti radiazioni elettromagnetiche, arricchendo il patrimonio di conoscenze e contribuendo a soddisfare la “curiosità dell’umanità nei confronti del funzionamento dell’universo”, come confida la ricercatrice del Gssi.
Crystal Eye sarà, insomma, un altro occhio aperto e rivolto con lo sguardo all’universo.